Lo guardò negli occhi, in quei suoi grandi occhi scuri. Poggiò la sua mano sul collo di lui, si sedette in braccio e disse: “Assaggiami”. Lo sovrastava, lo guardava dall’alto in basso e lo bloccava con le sue gambe — eppure si sentiva così piccina in braccio a lui, si sentiva protetta. Lui iniziava ad ansimare, era così eccitato che avrebbe voluto farlo subito con lei, sulla scrivania in aula o nei bagni dei professori dove non va mai nessuno. Ma no. C’era di meglio per cui godere quel giorno: godevano di se stessi. Uniti. Continuavano a guardarsi e, lui, lui mise le sue braccia intorno al busto di lei, la strinse a sé e poggiò la sua testa sui suoi seni. Respirava il suo amore. Ascoltava quel cuoricino battere solo per lui e le disse: “Il tuo cuore, senti? Mi sta dicendo che mi ama”. Lei non fiatò, le si bloccò la respirazione. Prese il viso di lui fra entrambe le sue mani, toccò la fronte di lui con la sua e, di nuovo, tuonò: “Assaggiami”. Lui le rispose con dei morsi: un morso tenero sulla guancia, poi sul mento e infine sul collo. Tre morsi per tre baci — per tre baci mancati. Lei iniziò a tremare e iniziò ad accarezzargli la nuca, gli disse: “Ora capisci perché dovevi assaggiarmi?”. Lui non rispose, si stava ancora godendo il sapore della sua carne. “Perché?” le rispose. Lei fece scivolare le sue mani sulle spalle di lui, si alzò in piedi restando su di lui e disse: “Adesso hai preso una parte di me. Ora hai qualcosa di me che nessun altro può avere. Ora sono un po’ più tua“. E lui, lui aveva già perso qualsiasi contatto con la realtà, perché lei era appena divenuta la sua nuova realtà. Le chiese: “Dovrai mordere tu me adesso?” — ma lei lo baciò, lo baciò perché da lui doveva prendere la parte migliore: gli diede un morso sul labbro inferiore. Forte, decisa, bella. Lo fece e piuttosto che staccargli il labbro, gli strappò il cuore.
Era un po’ più sua; con quei morsi era un po’ più mia. Ero un po’ più suo, con quel morso strappò via il mio cuore e lo fece suo — più suo che mio.
5 agosto, ore 2:34, Panchina in via Vernieri
∃x(φ)
Delizioso e romantico.
Incredibilmente appasionato.
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Grazie! Quando provavo ancora qualcosa riuscivo ad esserlo, oggi mi risulterebbe difficile scrivere di nuovo in questo modo.
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Prima o poi riproverai ancora qualcosa, forse non sarà intenso come era… ma sarà sempre qualcosa…
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Forse non proverai nulla ora, ma prima o poi proverai ancora qualcosa… forse non sarà lo stesso ma sarà sempre qualcosa
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Il fatto è che non voglio accontentarmi, però sì, attendo quel qualcosa
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Sono completamente d’accordo con te… accontentarsi è un pò tradire noi stessi
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Scusa se i miei commenti ti arrivano doppi, appena invio mi dice che c’è stato un errore e che non ha funzionato
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Non ti preoccupare 🙂
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Da leggere! Che piacere leggerti!! Ho subito provveduto con un follow!! Ti aspetto da me! Sorrisi grandi!
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Grazie mille!
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Forse é una coscienza di sé che l’amore introduce, non sappiamo di essere mancanza fino a quando l’amore non si affaccia con tutta la sua potenza e profondità e anche introduce la coscienza della sua irrimediabile incompletezza, cioè come se non riuscisse a possederlo del tutto e totalmente , per questo vuole mangiarsalo….Mi piace la definizione di Roth, nasce una ferita incolmabile o perlomeno da soli..
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Vero, quella definizione mi ha colpito subito!
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Sensuale quanto basta per dirti .Bravo. Molto piaciuto. Un sorriso. Isabella
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Grazie mille!
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Grazie a te
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Io personalmente trovo carino l’immagine che c’hai passato però non capisco il collegamento con quella poesia che è molto brutta, per me chiaramente. Perché credo che sia totalmente assurdo ritenersi completi prima di incontrare la propria controparte femminile. Comunque il racconto carino 😀
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Assaggiando l’altro, te ne prendi una parte. Così come l’altro, assaggiando te, se ne prende un’altra. Qui sta il dividersi e il non essere completi collegati a ciò che recita l’immagine.
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